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Collezionare pezzi unici a costo zero, educare lo sguardo e duettare col caso. I capolavori accidentali della fotografia anonima
Trent’anni di fotografia, un sesto circa della sua intera storia.
Da trent’anni vivo di fotografia e con la fotografia: un grande gioco, preso molto sul serio come fa ogni bambino, e una grande passione, presa molto sul serio come fa ogni adulto.
Ma dopo centinaia di migliaia di foto fatte, innumerevoli mostre viste e libri fotografici sfogliati, decine di convegni, seminari, dibattiti su qualsivoglia aspetto della fotografia, ebbene mi sento di dire ciò che disse Forrest Gump dopo aver corso ininterrottamente per anni: “Sono un po’ stanchino”.
Per meglio dire: il mio sguardo è un po’ stanchino, troppo pieno.
Ho cercato una “cura disintossicante” e l’ho trovata nella magia visiva dell’incontro casuale con i capolavori accidentali della fotografia anonima, nata al riparo da qualsiasi velleità.
La Photo Trouvée, la Found Photography, la Fotografia Trovata. Un modo per mettere alla prova in un sol colpo la nostra sensibilità, la nostra fortuna e la nostra curiosità.
Un’ecologia visiva forse necessaria per sopravvivere alla bulimia d’immagini che c'ingozzano. Immagini, come i cibi, sempre più abbondanti ma sempre più artificiali e spesso senza sapore.
In Italia questa delicata pratica del cercare perle nei “bassifondi” della fotografia non è ancora diffusa, ma altrove (Francia e Stati Uniti in particolare) è molto seguita.
Testi, mostre, siti web, scambi tra collezionisti denotano la vitalità di una scommessa col destino: frugare nello scatolone polveroso di un mercatino delle pulci, rovistare in una soffitta e setacciare, tra mille e mille inutili sassi, una pagliuzza d’oro.
Piacere della scoperta e commozione per il regalo della sorte sono alla base di questo collezionismo; un collezionismo a suo modo sovversivo: qualcuno oggi contraddice la vocazione innata della fotografia, quella dell’infinita riproducibilità (e dunque della sua democratica diffusione) a favore di un mercato dell’arte che vuole applicare il “plusvalore” del pezzo unico all’immagine fotografica, arrivando perfino a distruggerne la matrice.
E allora niente di più ribelle che un vero pezzo unico, perché ogni Foto Trovata è un pezzo unico e una vintage print, ma a costo zero o quasi.
La fascinazione sta anche nel suo essere anonima: di quella foto non sappiamo nulla, non possiamo contestualizzarla, non conosciamo autore né soggetti, la data è approssimativa.
Vale solo per il cortocircuito visivo che scatena, ora sorprendente, ora commovente, al di là delle intenzioni originali.
Foto prima perdute e poi ritrovate, situazioni sospese riconsegnate al piacere dell’occhio.
Così. Per magia.
Leonello Bertolucci
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